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  • Immagine del redattoreLuca Ripamonti

“Andrà tutto bene”: il normarlcy bias più famoso del Covid-19

Nel corso della pandemia ho avuto la possibilità di partecipare, con uno dei miei articoli, alla stesura del libro "Soluzioni" di Riccardo Rivetti e Giulia Rivetti, nel quale unendo le nostre competenze abbiamo illustrato come esperienze in ambiti apparentemente distanti come il mondo della sicurezza, dell'economia, della psicologia e della sociologia potessero essere incredibilmente complementari in situazioni più o meno critiche. A tal proposito vi invito a leggere questo libro partendo da questo piccolo estratto.


[...] “Andrà tutto bene”: il normarlcy bias più famoso del Covid-19


Si definisce normalcy bias la tendenza a sottovalutare inconsciamente un pericolo o una crisi anche quando gli effetti sono palesi, spingendo le persone a credere che le cose funzioneranno nel modo in cui hanno sempre funzionato, sottovalutando, quindi, sia la probabilità di una crisi sia i suoi effetti. Tale condotta è più normale di quanto si possa immaginare, infatti circa il 70% delle persone mostra una tendenza a comportamenti normali durante una catastrofe; questo avviene perché le circostanze di pericolo da affrontare, non sono tipiche o normali e, proprio per questo, l’esito è la paralisi e l'annullamento della capacità di analisi critica.

Come già evidenziato, questo processo non è frutto di un’azione ragionata o cosciente, bensì il contrario visto che l’uomo non è in grado di intervenire su ciò che sta accadendo dentro di sé potendo solo, a seconda di quanto il suo bagaglio culturale in materia e la sua attitudine all’imprevisto e al pericolo sono sviluppati, mettere in atto, più o meno velocemente, il modello di risposta comune delle persone, alle situazioni di incertezza. Esso solitamente prevede tre passaggi:

1. Negazione;

2. Elaborazione;

3. Momento Decisivo.


Le strade che portano al Momento Decisivo possono essere profondamente diverse, talvolta dirette, in altri casi tortuose poiché il modo in cui la psiche elabora le nuove informazioni non è lo stesso in ogni situazione. Lo stress, rallenta l’elaborazione delle informazioni e quando la psiche non riesce a trovare una risposta accettabile si fissa su un’unica soluzione predefinita ed è proprio in questo momento che, come inconscio meccanismo di difesa, entra in atto il normalcy bias che può indurre le persone a sottovalutare drasticamente gli effetti del problema e a supporre che “andrà tutto bene” perché così è sempre stato fino ad allora e così sarà in futuro. Altrettanto diverse sono le risposte personali all’incertezza in quanto, come anticipato, l’approccio alla situazione straordinaria può variare da individuo a individuo; dobbiamo sempre cercare di ridurre l’incertezza, ma ci sono momenti in cui potremmo trovarci a gestire, obbligatoriamente, il nostro livello di stress.

Nel contesto pandemico attuale, ad esempio, vi è chi riduce l’incertezza informandosi in modo quasi ossessivo e continuo, guardando costantemente talk e notiziari, ma può esserci anche chi ha trovato nell’evitamento la forma di gestione più adatta; infatti, le strategie di gestione dell’incertezza non sono univoche, motivo per cui è normale provare un senso di frustrazione quando ci si confronta con qualcuno che affronta la situazione di stress in modo differente, come se non ci sentissimo capiti, ed è proprio per questo che possono sfociare in discussioni e conflitti.

Il pregiudizio della normalità è stato anche definito come paralisi dell’analisi, panico negativo o effetto struzzo; vi è anche la possibilità, invece, che avvenga la reazione opposta, individuabile nella worst case scenario bias, ovvero la reazione che alcune persone hanno a scostamenti lievi dalla normalità, che inducono in loro reazioni eccessive e catastrofiche.

Analizziamo nel dettaglio, quindi, i tre passaggi di risposta comune alle situazioni di incertezza elencati in precedenza:

  • Negazione:

Per quanto riguarda questa prima fase, gli studi hanno rilevato che la gente nega, appunto, che stia accadendo un disastro. Infatti, ci vuole tempo perché la psiche elabori le informazioni e riconosca che un disastro in corso è una minaccia reale.

  • Elaborazione

Nella seconda fase, le persone devono decidere cosa fare. Se la persona non ha un piano in atto, questo crea un problema serio perché gli effetti di uno stress è pericoloso per la salute ad esempio, visione a tunnel, esclusione dell’udito, dilatazioni del tempo, esperienze extra-corporee o abilità motorie ridotte, limitano la capacità dell’individuo di percepire le informazioni e, di conseguenza, l’ideazione di piani.

  • Momento Decisivo

Nella terza e ultima fase, una persona deve agire in modo rapido e deciso. Più velocemente una persona può superare la fase di Negazione e Elaborazione, più velocemente raggiungerà il Momento Decisivo e comincerà ad agire. Il più delle volte, la velocità nel superare le due fasi precedenti determina la percentuale di sopravvivenza alla catastrofe, in altre parole, più si è rapidi più possibilità ci sono di rimanere non necessariamente incolumi ma almeno in vita.

Per far sì che gli individui possano avere abbastanza armi per cercare di combattere gli effetti negativi del normalcy bias, attraverso una educazione al pericolo, sono state previste quattro fasi di risposta al disastro:

  1. preparazione, incluso il consapevole riconoscimento pubblico della possibilità di un disastro e la formazione di piani di emergenza;

  2. avvertimento, compresa l’emanazione di avvertimenti chiari, univoci e frequenti, e l’aiuto al pubblico a comprenderli e a crederci;

  3. impatto, la fase in cui i piani di emergenza, dopo molte prove, entrano, purtroppo, in vigore e i servizi di emergenza, le squadre di soccorso e le squadre di salvataggio in caso di catastrofe lavorano in tandem;

  4. ripristino, dell’equilibrio dopo l’evento, fornendo sia rifornimenti che aiuti a chi ne ha bisogno.


Come abbiamo visto, queste fasi prevedono anche una parte in cui i piani d’emergenza vengono stilati e portati a conoscenza di tutti; uno degli errori più comuni che in caso di disastro ci fanno sentire impreparati, rendendo più lenta la nostra capacità di reagire, è proprio quella di sottovalutare la loro importanza. Che sia un ristorante, un cinema, un centro commerciale, una nuova azienda, degli uffici pubblici o privati, dare uno sguardo veloce in alto, per cercare il simbolo dell’uscita d’emergenza, non richiede che una manciata di secondi capaci, però, di predisporre la nostra psiche ad avere già un piano per potersi salvare, diminuendo, quindi, la fase di negazione e soprattutto di elaborazione, visto che è una strategia di fuga è già stata ipotizzata. Eppure a farlo sono pochissimi e generalmente per deformazione professionale, se si lavora nel comparto sicurezza. Moltissime volte, mio malgrado, ho visto dipendenti, datori di lavoro e insegnanti scontenti delle prove di evacuazione antincendio, considerandole una perdita di tempo sia lavorativo sia scolastico, facendo passare anche alle nuove generazioni il messaggio estremamente errato secondo cui non sono necessari; così facendo saranno sempre predisposti inconsciamente a sottovalutare l’importanza di ciò che stanno facendo, poiché l’essere umano apprende per lo più per imitazione, motivo per cui saranno portati, come il loro modello di comportamento, a vedere questo momento estremamente istruttivo come di ricreazione e di conseguenza non prestandogli l’adeguata attenzione.

Al fine di rendere indelebile l’importanza vitale di quanto appena esposto vorrei portare alla vostra attenzione tre esempi, risalenti a momenti differenti, in cui il normalcy bias è entrato in atto:

  • Pompei ed Ercolano

Non si hanno notizie approfondite su tale avvenimento come invece saranno quelle dei prossimi esempi, gli studiosi hanno però dedotto dalla posizione dei calchi che i cittadini hanno osservato immobili per ore l'eruzione del Vesuvio avvenuta nel 79 d.C., prima di essere in grado di scappare, finendo così travolti da una colata piroclastica rovente. Non esiste un pericolo più grande di quello che ci rifiutiamo di vedere.

  • Bataclan

Alle ore 21:40 del 13 Novembre 2015 durante un concerto del gruppo rock statunitense Eagles of Death Metal, 3 terroristi equipaggiati di equipaggiamento tattico, armi d’assalto, bombe a mano e cinture esplosive, parcheggiano la loro Volkswagen Polo nera accanto al teatro Bataclan, su Boulevard Voltaire a Parigi e due minuti dopo uno dei tre manda un SMS al coordinatore principale degli attacchi, in cui si legge: "Siamo partiti, cominciamo".

Dopodiché, i terroristi irrompono nel teatro sparando contro la folla, urlando "Allahu Akbar!". La prima raffica, sparata mentre la band suona, provoca una decina di vittime davanti all'ingresso, ma viene in un primo istante scambiata per degli amplificatori o degli effetti pirotecnici. La seconda si dirige verso il bar e mette in fuga il leader Jesse Hughes, il chitarrista Eden Galindo, il bassista Matt McJunkins e il batterista Julian Dorio, mentre il secondo chitarrista Dave Catching continua ancora per qualche istante a tenere il centro del palco. Subito dopo i tre uomini si posizionano sulla platea e sparano altre diverse raffiche. I presenti, terrorizzati dalle esplosioni delle granate, tentano di evacuare il locale, mentre il resto dei membri della band riesce a sopravvivere scappando da un'uscita dietro le quinte, per poi rifugiarsi in una stazione di polizia. Altre 50 persone scappano sul tetto, altre ancora si rifugiano nei bagni pubblici e nei camerini che vengono sequestrati dagli attentatori.

Ragioniamo su questo drammatico avvenimento, solo quattro persone si sono subito rese conto del rumore degli spari, tutte le altre li hanno confusi per effetti pirotecnici, compreso il secondo chitarrista, il quale presumiamo, fosse a conoscenza del momento in cui sarebbero stati utilizzati eventuali effetti pirotecnici.

Siamo a conoscenza che il leader della band frequenta con costanza un poligono dove pratica sport di tiro, per questo motivo hanno riconosciuto immediatamente i differenti suoni. Inoltre questo tipo di sport negli USA sono praticati diversamente rispetto all’Europa, è considerata una vera e propria arte marziale, che insegna la gestione dello stress e la capacità di discernere i tipi di minacce e le eventuali risposte. È uscito dalla sua comfort zone e ha espanso i suoi punti di vista. I restanti membri che sono fuggiti per primi, probabilmente hanno visto il loro leader scappare e hanno compreso la minaccia. L’ultimo membro, è rimasto vittima della visione a tunnel, era concentrato a suonare la chitarra e anche quando i suoi compagni hanno smesso di suonare non si è accorto della minaccia.

  • Cinema Aurora

Alle ore 00:30 del 20 Luglio 2012 presso il cinema Century 16 Movie Theater, Aurora, Colorado, viene proiettata la prima del film “Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno”. James Holmes, ventiquattrenne con problemi psichici, entra da una porta di emergenza, lasciata aperta in precedenza, equipaggiato con maschera antigas, giubbotto antiproiettile, armi d’assalto e bombe fumogene. I presenti hanno inizialmente scambiato il killer come un’opera pubblicitaria per la presentazione del film. Si accorgono della minaccia solo quando inizia a fare fuoco contro gli spettatori urlando “I’m Joker!”.

Anche in questo drammatico evento possiamo notare come la lunga elaborazione della minaccia abbia portato a conseguenze disastrose. La polizia è intervenuta in 90 secondi, allertata dopo nove lunghissimi minuti e arresta l’attentatore alle ore 00:45, circa quattro minuti dal loro arrivo. Ancora una volta vediamo la differenza di reazione alle emergenze grazie alla preparazione. [...]

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